Argentina: diario di viaggio novembre 2012

 

18-19 novembre: Inizia il lungo viaggio verso l’Argentina! Abbiamo prenotato un volo diretto Aerolineas in partenza da Roma Fiumicino. Alle 17.30 iniziano le operazioni di imbarco e, puntualissimo, alle 18.20 l’aereo decolla. È tutto abbastanza pulito, personale gentile…ma gli standard non sono esattamente quelli europei o statunitensi. Le poltrone sono piuttosto scomode, non ci sono i poggiapiedi e prendere sonno è un’impresa impossibile! Vabbè, passano 15 lunghissime ore e finalmente atterriamo a Buenos Aires. Disbrigo delle formalità doganali, ritiro bagagli e via, alla scoperta della città.

L’Aeroporto Internazionale Ministro Pistarini dista circa 35Km dal centro città e, considerando che qui sono le 6.30 del mattino, prendiamo un taxi che ci accompagna direttamente in hotel, dove lasciamo le valigie (ovviamente la stanza non è ancora disponibile) per iniziare a girovagare nel quartiere. Siamo in zona Retiro, un posto molto tranquillo, residenziale e benestante. È piacevole passeggiare tra ragazzini in divisa che vanno a scuola e bei negozi di arredo e artigianato. Ci dirigiamo verso Recoleta per visitare il cimitero e fare un saluto a Evita Peron. Il cimitero di Recoleta è monumentale, in pieno centro città, preceduto da ampi spazi verdi dove a farla da padrone sono alberi di Jacarande, che fioriscono in questo periodo dell’anno ricoprendo la città di bellissimi fiori viola, e uccelli, in particolare pappagallini, che, impavidi, sfrecciano a destra e a sinistra sulle nostre teste incuranti degli ostacoli…in realtà gli impavidi siamo noi e, infatti, mi lascio beccare da un pappagallo proprio sugli occhiali da sole! Porta fortuna, no?

All’ingresso del cimitero chiediamo al personale dove si trovi la tomba di Evita (che giace nella cappella della famiglia Duarte) e sono tutti gentilissimi, si sbracciano per mostrarci la strada più facile e sorridono.  In giro c’è poca gente e qualche turista.

Poco dopo prendiamo possesso della nostra camera per una doccia veloce e scendiamo nuovamente per strada. Non abbiamo una meta precisa, siamo fuori fuso, vaghiamo per qualche ora a caso, ci fermiamo per un panino in un posto delizioso: il Pick Market, un minimarket gourmet con saletta ristorante sovrastante…c’è di tutto e i prodotti sono niente male! E riprendiamo il nostro giro disordinato lasciandoci bombardare dai colori, gli odori, i suoni di questa metropoli caotica, un po’ sporca (a essere onesti), dove gli uomini per abitudine sputano per strada, numerosissimi barboni dormono sui marciapiedi letteralmente scavalcati da persone di ogni tipo e provenienza, i tassisti e le auto sfrecciano a tutte le ore.

20 novembre: PARO GENERAL! Buongiorno…per modo di dire! È l’alba, siamo svegli da un pezzo, ma facciamo tutto con calma in attesa di un orario decente per fare colazione o, meglio, per chiamare la reception e farci portare la colazione! Già, in questo grazioso hotel, moderno, iper-accessoriato ma piccolino, non c’è una sala colazione, quindi ti servono tutto quello che desideri direttamente in camera, caffè, latte, succo di frutta, yogurt, croissant, pane, burro, marmellate, salumi, formaggi…insomma, di tutto! Scendiamo al banco reception per chiedere alcune informazioni (avremmo voluto prendere un treno per visitare il delta del Paranà fino a Tigre) ma scopriamo che oggi c’è uno sciopero generale, el paro general! E siccome qui quando è sciopero si fa sul serio, non c’è speranza di prendere un mezzo pubblico neanche a pagarlo oro. Ci spiegano che sicuramente incontreremo diversi disagi, servizi di vario genere interrotti, negozi chiusi, strade bloccate! Quindi sorridiamo e optiamo per un giro a piedi, pensando che forse in hotel ci hanno descritto una situazione un po’ troppo tragica, ci hanno praticamente presentato un dramma di proporzioni planetarie! Ci dirigiamo verso il centro per visitare le principali attrazioni che sono quasi tutte ubicate tra i quartieri di Microcentro (Avenida 9 de Julio, Plaza de Mayo, la Catedral, la Casa Rosada e la Manzana de la Luz) e San Telmo. Camminando camminando ci rendiamo conto che forse i ragazzi dell’hotel avevano ragione: la città è quasi deserta, il 90% dei negozi è chiuso, persino bar e ristoranti. Più tardi al telegiornale scopriremo che quei pochi negozianti che hanno deciso di non aderire allo sciopero sono stati vittime di assalti piuttosto violenti; i manifestanti hanno insultato i dipendenti al lavoro e rotto diverse vetrine di attività aperte al pubblico! Però…una huelga in Argentina è una cosa da non prendere sotto gamba!

Buenos Aires oggi sembra davvero strana, strade enormi, immense, deserte. L’Avenida 9 de Julio è un dormitorio a cielo aperto, dove i barboni mettono su casa, ovvero tende e materassi, in pianta stabile. Fa caldo, ci sono circa 30°, e c’è tanto smog. Ci rifugiamo nella Cattedrale e poco dopo assistiamo all’ingresso di 6-7 giovani in alta uniforme che vengono a porgere il loro saluto davanti alla tomba di José de San Martin, l’eroe nazionale più amato dagli Argentini, considerato figura fondamentale per l’indipendenza di Argentina, Perù e Cile.

Continuiamo il nostro tour a piedi fino alla Iglesia de San Ignacio e da lì a San Telmo. Sebbene alquanto spopolato, il quartiere è davvero affascinante, sanguigno, popolare, anche se ormai sempre più turisti si riversano nei suoi vicoli colorati e stracolmi di negozietti di artigianato artistico…ovviamente chiusi! Ci dirigiamo, quindi, verso Puerto Madero, il nuovo porto sul fiume, per andare a mangiare la nostra prima parrilla da Fredi, un ristorantino gettonato dagli impiegati di alcune aziende delle vicinanze. Non si può descrivere la bontà di quella carne grigliata, il sapore, il profumo…ottima scelta, il viaggio in Argentina inizia a carburare!

Per rientrare riusciamo a prendere un taxi, con 30 pesos (ca 4.00 €) siamo in hotel. Ci rinfreschiamo e poi di nuovo per strada, prima dello spettacolo di questa sera. Già, abbiamo prenotato due posti al Teatro Carlos Gardel; si tiene quasi ogni sera un classico spettacolo di tango messo su per i turisti con tanto di cena (facoltativa), ma non resisto alla tentazione! Arriviamo verso le 22.30, mentre gli altri ospiti stanno terminando la cena, e attendiamo pazientemente l’inizio. Dunque, se riuscite a superare la nausea di una platea strapiena di tavole imbandite, turisti tirati a lucido neanche fosse la notte degli Oscar e un’organizzazione, tra autisti, addetti all’accoglienza e personale di sala, modello catena di montaggio, potrete godervi uno spettacolo niente male. A dirla tutta i ballerini sono da brivido, mai visto un tango così spettacolare! Forse poco intimo e melanconico ma tanto tanto spettacolare!

21 novembre: Oggi intendiamo visitare i quartieri più periferici, così saliamo su un bus turistico e dopo poco mi accorgo che siamo gli unici italiani…in realtà gli unici europei! Sono tutti sud americani, in particolare brasiliani. Ci fermiamo a chiacchierare con due ragazzi colombiani che, in realtà, arrivano dritti dritti dall’Australia, dove, da due anni, studiano inglese. Tra una chiacchiera e l’altra osserviamo Buenos Aires in una veste nuova: milioni di persone per strada e tanto traffico. Rivedo alcune piazze e alcune strade percorse ieri e appaiono totalmente differenti. Siamo diretti verso l’area verde di Palermo, un quartiere moderno circondato da parchi, dove i porteñi praticano lo sport all’aria aperta. Qui, negli ultimi anni, sono stati realizzati diversi musei (per lo più gratuiti). Insomma, è un quartiere oserei dire perfetto, soprattutto in primavera/estate, verso il tardo pomeriggio o nei week end, quando si popola di gente venuta per rilassarsi o per divertirsi in uno dei tanti localini della zona più interna: Palermo Vecchio. Il nostro tour termina alla Boca, il quartiere di operai immigrati che lavoravano al porto; un po’ malfamato, ma tanto affascinante! Dal bus osservo i vicoli e ho come un deja vu, sono le immagini dell’Argentina popolare che tante volte ci hanno mostrato in tv, i quartieri poveri dei nostri immigrati, le strade dove palleggiava il giovane Maradona, tra case colorate, ognuna di un colore diverso – perché la gente usava quanto rimasto dalla pitturazione delle barche – con l’intonaco malandato e gli infissi cigolanti. Vediamo lo stadio del Boca Junior e più avanti la Calle Caminito, una vera e propria macchina per far soldi: una strada con numerosi bar e ristoranti, ballerini di tango, negozi di souvenir e fotografi che, per pochi pesos, ti vendono foto in pose plastiche con il ballerino o la ballerina di turno!!!

Buonos Aires, La Boca

Buonos Aires, La Boca (foto V. Basile)

Per pranzo siamo di nuovo a Puerto Madero, ovviamente per un’altra parrilla! Mentre trascorriamo il pomeriggio ancora tra Retiro e Recoleta. È un quartiere davvero piacevole, con negozi d’arredamento e boutique niente male…casualmente ci imbattiamo in una panaderia e non resistiamo alla tentazione di acquistare delle empanadas (sorta di panzerotti ripieni di carne o formaggio, pomodoro, mais etc etc), sono fantastiche e una tira l’altra! Quindi niente cena, ma ci sediamo comunque in un localino molto carino, Como en casa, per bere una birra.

22 novembre: Sveglia di buon ora e spostamento all’Aeroparque, il piccolo aeroporto cittadino per i collegamenti nazionali, ubicato proprio di fronte al Rio de la Plata, un fiume immenso dalle acque scure che separa l’Argentina dall’Uruguay. La nostra destinazione è Cordoba, una città dell’Argentina centrale, posta a nord-ovest di Buenos Aires. Abbiamo prenotato un hotel in pieno centro, fortunatamente, perché la periferia lascia a desiderare, sebbene abbia un non so ché! Case basse, botteghe con insegne enormi e colorate addossate l’una all’altra, piccole vetrine con enormi cartelloni pubblicitari affiancati da cartelli di legno o cartone con offerte promozionali scritte a mano. L’Azur Real, il nostro piccolo boutique hotel, è ubicato in un palazzotto dall’aspetto alquanto ambiguo, ma l’interno è meraviglioso. Si sviluppa attorno a un patio centrale con fontana; il pavimento è rivestito con un bellissimo parquet mentre i muri alternano intonaco a mattoncini rossi lasciati a vista. L’arredo è fenomenale, mobili vintage si alternano a pezzi moderni e funzionali, tappeti, cuscini e quadri sapientemente abbinati. Strepitose le porte in legno restaurate! In tutte le stanze c’è la connessione wi-fi, così andiamo a fare una doccia e a controllare le e-mail.
A Cordoba vivono circa 1,5 mln di abitanti, ma il centro storico è davvero piccolino. Ha conservato molto poco, ad eccezione della Cattedrale e della Manzana Jesuitica, un isolato che mi incanta! Provo a immaginare come dovesse essere molti secoli addietro, quando non esistevano palazzi, antenne, auto. Ci sediamo a La Alameda, una vecchia panaderia, sulla strada pedonale, con tavoli in legno e migliaia di bigliettini appesi alle pareti lasciati dagli ospiti. Prendiamo due empanadas criolla (con carne piccante e cipolla) e una birra da litro, il formato più comune.

Cordova, empanadas

Cordova, empanadas (foto V. Basile)

Poco dopo riprendiamo il nostro giro, lasciamo il centro, con i campanili barocchi, e ci spostiamo poco fuori dove la modernità si presenta in tutto il suo orrore: negozi dalle grandi insegne e calcinacci cadenti. Arriviamo al Paseo del Buon Pastor, una sorta di centro polivalente creato per la cittadinanza, con fontane, negozi, caffetterie, mostre fotografiche e spettacoli all’aperto. Non so ancora se questa città mi piace, di sicuro è molto diversa da Buenos Aires ed è evidente la maggiore apertura verso l’esterno e verso gli altri!
Chiediamo per strada consigli su un buon ristorante e all’unanimità ci indicano l’Alcorta (avenida H. Irigoyen 171), uno dei più cari in città, ma ne vale davvero la pena. Non credo di aver mai mangiato un filetto di manzo più buono in tutta la mia vita, ovviamente accompagnato da un buon Malbec. Il valore aggiunto è un cameriere molto simpatico che, stupito dal mio accento e dal mio aspetto (a suo avviso da perfetta sud-americana) ci da delle dritte per il nostro rientro a Buenos Aires (la sua città) mentre ci racconta della sua esperienza a Verona.
Rientriamo in tarda serata in hotel passando nuovamente davanti alla Cattedrale con i campanili illuminati…adesso Cordoba mi piace!

23 novembre: Facciamo colazione nella splendida saletta all’ultimo piano dell’hotel, attraversando la terrazza con area fitness e piscina scoperta. Poi corriamo a prendere il bus. Si, proviamo l’esperienza di un bus extraurbano in direzione Alta Gracia. La stazione di autobus sembra una bisca clandestina ubicata in uno scantinato, il bus è davvero sporco ma puntualissimo e, come al solito, restiamo stupiti dalla gentilezza della gente, dell’autista che ci dice dove scendere e cosa vedere. Il tragitto dura circa un’ora (40 Km) e, appena arrivati, ci rechiamo all’ufficio turistico, all’interno della Torre dell’Orologio, nei pressi del laghetto artificiale realizzato dai gesuiti (almeno credo!).

Alta Gracia

Alta Gracia (foto V. Basile)

Prendiamo una mappa della città e cominciamo dal museo gesuitico, all’interno dell’Estancia Jesuitica Alta Gracia. Questi monumenti danno davvero l’idea del lavoro svolto dagli ordini religiosi in questa parte del mondo! Certo si può discutere su cosa accadde alle popolazioni native del Sud America e se sia stata corretta o meno la loro politica, ma non è mia intenzione esprimere un giudizio, solo una riflessione su quegli uomini partiti dall’Europa per una terra lontana dove portare la parola del signore (e ovviamente non solo quella) e la propria perizia tecnica che ha lasciato segni indelebili sul territorio, chiese maestose che ancora oggi lasciano senza fiato.
Usciti dall’Estancia proseguiamo verso la casa del Che, quella dove trascorse alcuni anni con la famiglia paterna per curare l’asma che lo affliggeva. Al suo interno è allestita una mostra fotografica che ripercorre le tappe più importanti della sua vita.
Continuiamo a girovagare tra villette curate e case abbandonate, strade lastricate e altre sterrate, parchi e boschetti con dirupi al di sotto dei quali scorre il fiume, prima di fermarci in uno di quei negozietti che non so come definire in italiano, mi verrebbe da dire ‘pizzicagnolo’, ma qui puoi acquistare di tutto, dalle sigarette alla birra, dal pane al dulce de leche. Ci facciamo fare dei panini da mangiare per strada in attesa del bus che ci riporterà a Cordoba.
Questa sera ci sarà una sorta di ‘notte bianca’, negozi e musei aperti per tutta la notte e in giro c’è tantissima gente. Acquistiamo una coppa per il mate in cuoio, ci fermiamo a osservare alcuni artisti di strada e poi entriamo in una trattoria che ci hanno indicato, semplice ma autentica: El Candela. Ci accoglie la signora Dora, ci fa accomodare, mentre è intenta a preparare con le sue mani delle empanadas, e ci fa portare della birra. L’idea era di bere un sorso e andare a dormire perché siamo davvero stanchi, ma alla fine cediamo alla tentazione delle empanadas appena sfornate e proseguiamo con una zuppa (logro) a base di legumi, cereali e carne di manzo…e poi – come si fa a dire di no alla signora Dora? – assaggiamo una Tarta con jamon y queso (torta rustica con prosciutto e formaggio). È tutto squisito, l’atmosfera è casalinga, la signora mi chiede persino di provare a fare le empanadas (la mia dannata formazione italiana ASL – dipendente mi impone di rifiutare…dovrei essere autorizzata a manipolare gli alimenti!) e, al momento del conto, con mio sommo stupore leggo (su un foglietto di carta semplice) 74 pesos, equivalenti a circa 12.00 €. Ringraziamo e ‘rotolando’ rientriamo in hotel.

24 novembre: Ci attardiamo un po’ in hotel per controllare le e-mail e sistemare le valige, prima di andare in aeroporto. Questa volta optiamo per un taxi remis, un taxi di color verde che – come ci spiega l’autista – può lavorare solo a domicilio ed è un po’ più economico di quelli ufficiali.

Arriviamo in aeroporto con largo anticipo, purtroppo…l’aeroporto di Cordova è molto piccolo e non c’è quasi nulla da fare, per cui ne approfitto per riordinare le idee e gli appunti. Finalmente ci imbarcano. Torniamo a Buenos Aires per l’ultima notte. Questa volta ho prenotato un hotel a Palermo Soho. Tutta un’altra Buenos Aires si presenta ai nostri occhi. Nuovamente grandi parchi e gente che pratica sport, d’altro canto è un magnifico sabato pomeriggio e i porteños se lo godono a pieno! Ci impossessiamo della nostra stanza presso il BA Soho Hotel, molto carino, personale gentilissimo, ampia hall e sala ristorante a vista con ampie vetrate tutte intorno. La stanza è praticamente un appartamento: due letti alla francese con angolo relax, divano, tavolino…addirittura due tv!! Dal balconcino vedo la piccola piscina con idromassaggio al piano inferiore e poco oltre la strada colma di gente. Ci catapultiamo per strada lungo la calle J.L. Borges fino a plaza Serrano e da lì a plaza Palermo Viejo, incredibile, è un susseguirsi di negozi d’arredo, abbigliamento, market bio e locali, tanti locali…tutti quelli che mancano al centro di Buenos Aires sono qui! Verso le 22.00 iniziano a spuntare ragazzi da tutte le parti e ogni angolo di ogni localino si riempie. Scegliamo un buon ristorante, perché abbiamo davvero tanta fame, e il Cabernet Restaurant sembra fare al caso nostro! L’atmosfera è intima, le porzioni sono abbondanti, una vasta scelta di vini (d’altra parte hanno un’enoteca di proprietà proprio di fronte al ristorante) e anche di pane da accompagnare con una meravigliosa crema al formaggio e spezie. Entusiasti e anche un po’ brilli torniamo in hotel.

25 novembre: Oggi inizia la nostra discesa verso il profondo Sud. Il volo parte puntuale alle 11.40 e arriva a Trelew alle 13.30. Superiamo il controllo bagagli (verificano che non vi sia nulla all’interno che possa alterare l’equilibrio biologico della riserva naturale Peninsula Valdes, nella provincia di Chubut). Ci attendono due simpatici signori di mezza età, lei di origini friulane, che ci accompagnano in auto fino a Puerto Madrin (ca 70 km). La sensazione percepita già dall’aereo, al momento dell’atterraggio, diventa certezza…siamo in mezzo al nulla! Abbandonata la fertile terra che circonda Buenos Aires (la pampa) e la pre-cordigliera di Cordova, siamo giunti in una specie di deserto arido, dove la terra è bianca, salmastra, ricoperta qua e la solo da bassi arbusti.

Percorriamo la Ruta 3 – da Trelew a Puerto Madryn – che è in realtà la panamericana, la strada di collegamento tra la Tierra del Fuego e l’Alaska.  È emozionante, eppure un senso di angoscia ti assale dopo pochi km: a destra e a sinistra la steppa, di fronte solo strada, lunga e deserta, niente cartelli per interi km, niente insegne pubblicitarie, niente stazioni di servizio, niente! Dopo un po’ l’angoscia si trasforma in rassegnazione e poco dopo in totale isolamento, oserei dire pace!

Arriviamo dopo circa un’ora in questa cittadina balneare passata dai 4.000 ai 90.000 abitanti nel giro di pochi anni grazie all’industria di alluminio e al turismo. Alloggiamo in un hotel proprio di fronte alla spiaggia, un po’ datato ma, come spesso accade, la vecchia guardia compensa con professionalità e gentilezza ciò che le manca in servizi e design. La temperatura fuori è di 16° eppure c’è gente che fa il bagno…folli! Ma d’altra parte qui l’inverno si fa sentire e se il sole fa capolino bisogna approfittarne!

La città non ha particolari attrattive, eccetto la posizione: è la porta d’accesso alla Peninsula Valdes. Tuttavia, si presenta piacevole, con strade larghe, negozietti di souvenir, ristoranti, tanti turisti e una spiaggia enorme e scura che domina il fronte cittadino. Ceniamo in un ristorante specializzato nella cucina di mare ma, a dirla tutta, non è esaltante, la sogliola sa di merluzzo, il salmone è sciapo, oltre che bianco, infatti, come ci spiega il cameriere, è tipico di queste acque. In compenso è molto buono il vino bianco.

Alle 21.30 c’è ancora luce e dal prossimo mese (in estate) le ore di buio si ridurranno a 5-6. La cosa mi piace molto, anche perché nella mia stanza c’è una scrivania proprio di fronte alla finestra da cui posso osservare il molo e scrivere mentre osservo la gente che corre sulla spiaggia.

26 novembre: Alle 5.00 del mattino c’è già luce e intravedo qualcuno che corre sulla battigia. Questo luogo in mezzo al nulla ha un ché di paradisiaco!

Abbiamo prenotato un’escursione alla Peninsula Valdes, faremo un bel po’ di strada ma ne vale la pena. Il paesaggio è stupendo e, qua e là,  si affacciano cavalli, pecore, guanachi, struzzi. Vivono tutti in libertà in questo lembo di terra dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.  A Puerto Piramides ci imbarchiamo per il Whales watching. Navighiamo per quasi due ore senza avvistare nulla, in questo periodo, infatti, l’avvistamento diventa difficile perché le balene franco australi iniziano a spostarsi al sud. Il sole picchia davvero tanto, a quanto pare il buco nell’ozono (posizionato in corrispondenza dell’Antartide) fa sentire i suoi effetti fin qui. Siamo un po’ demoralizzati quando all’improvviso, eccole, maestose, placide, al largo della costa. Ci avviciniamo e la sensazione è incredibile! La più grande è lunga circa 15 mt, molto più della nostra barca; potrebbero farci ribaltare con un colpo di pinna eppure appaiono innocue, giganti marini assolutamente pacifici e a rischio di estinzione. Che bella esperienza, non ho parole!

Peninsula Valdes, whales watching

Peninsula Valdes, whales watching (foto V. Basile)

Rientrati a destinazione risaliamo sul nostro bus per dirigerci verso Punta Cantor, un posto lunare dove il mare sta depositando terra e sabbia da decenni modificando la linea di costa argentina. Qui, sui terrapieni, poltriscono i leoni marini, simpatici e pigri animali anch’essi a rischio estinzione. Poco oltre, proprio dentro la Caleta Valdes, incontriamo i pinguini. Sono i pinguini di Magellano, piccoli e simpatici, ma meglio non avvicinarsi troppo, si intuisce immediatamente il loro caratterino. Qui ne vivono alcune centinaia ma la colonia più importante è a sud di Trelew a Punta Tombo. Ci attardiamo un po’ a osservarli e poi risaliamo sul bus, stanchi ma felici.

Osservo ancora il paesaggio dal finestrino, la steppa arida (non piove da sette mesi), il sole che picchia, il vento, i pensieri che si dissolvono, la pace che ti invade!

Rientriamo in hotel per cambiarci velocemente e andare a cena…stavolta non ci fregano, abbiamo notato un posticino davvero carino dove addentare senza ritegno un grosso agnello patagonico, che ci viene portato al tavolo su una piccola brace rovente, sorseggiando un buon Malbec.

Puerto Madryn, cordero patagonico

Puerto Madryn, cordero patagonico (foto V. Basile)

27 novembre: Anche oggi sveglia all’alba. Sistemiamo le valigie e ci dirigiamo all’aeroporto, dove sbrighiamo le solite pratiche e paghiamo la tassa d’imbarco. Le ore di volo e gli spostamenti iniziano a farsi sentire, ci prende una sorta di nausea, amplificata, credo, dal cambio di temperatura. Atterriamo a Ushuaia con 4° (26° in meno di Buenos Aires) mentre osserviamo le vette innevate della cordigliera. Il nostro hotel è poco fuori dal centro, in mezzo ai boschi, con una vista stupenda sulla città e sul Canale di Beagle. Decidiamo di riposare un po’, sperando che passi la nausea, e di fare un giro in città nel tardo pomeriggio.

La via principale, via Saint Martin, è piena di turisti che, nonostante il gelo, passeggiano tra le botteghe di souvenir. Arriviamo al Museo Marittimo ricavato nel vecchio carcere di Ushuaia dove, molto tempo fa, venivano rinchiusi comuni prigionieri ma anche tanti prigionieri politici mandati a morire in uno dei posti più inospitali della terra. La città fu edificata, sul finire dell’Ottocento, con l’obiettivo di creare una sorta di città-carcere, dove spedire persone ‘scomode’ ai lavori forzati. Il carcere fu chiuso durante il governo di Juan Domingo Peron, il suo aspetto è decisamente cambiato e la gente oggi ci viene ben volentieri inseguendo il mito del Fin del Mundo. In queste isole, che lo stretto di Magellano divide da Argentina e Cile, affacciate sul Canale di beagle (punto di incontro tra oceano Atlantico e Pacifico) la natura regna sovrana. Il freddo è intenso ma, fortunatamente, il vento è meno prepotente di quanto si possa immaginare grazie alle Ande che fungono da filtro. La gente qui è incredibilmente cordiale e tutti sembrano felici e rilassati.

28 novembre: Oggi escursione al parco della Tierra del Fuego. Passiamo l’intera mattinata in questi boschi meravigliosi e sostiamo per un té caldo sul lago Roca, all’interno di un rifugio, vicino al camino. Continuiamo il nostro tragitto fino al cartello che ci indica la fine della Ruta 3, la Panamericana.

Rientrati in città mangiamo velocemente un panino acquistato in una graziosa salumeria e ci spostiamo all’imbarco dei traghetti. Acquistiamo un biglietto per la navigazione in catamarano lungo il Canale di Beagle. Oltrepassiamo le isole Bridges, il mare ha il colore dell’acciaio e incute un certo timore. Scorgiamo in lontananza un isolotto dove hanno casa leoni marini e cormorani. Guardiamo a destra e a sinistra con una certa meraviglia, siamo al centro tra due Stati: Argentina (la costa a nord del canale) Cile (quella a sud).  Dopo circa tre ore di navigazione in assoluto silenzio arriviamo all’isla Martillo popolata dagli animali in assoluto più divertenti e incredibili: i pinguini. Sono tantissimi e non sembrano per nulla infastiditi dalla nostra presenza, anzi, si avvicinano sperando che daremo loro qualcosa da mangiare ma, ovviamente, è vietato. Alcuni sonnecchiano, altri litigano, altri si tuffano come schegge impazzite nuotando sott’acqua a una velocità incredibile.

Canale di Beagle

Canale di Beagle (foto V. Basile)

È ora di rientrare, riprendiamo la navigazione verso Ushuaia. Siamo stanchi, non abbiamo la forza di camminare e fa freddo, quindi ci concediamo una cena in hotel nella bella sala con immense vetrate da cui osservare il panorama. Sono le 22.00, il sole inizia a tramontare e si accendono le prime luci…è un incanto. Assaggiamo la specialità del luogo, il granchio (bollito e servito freddo con un po’ di limone…è squisito), chiudiamo con una spigola (lubina), accompagnando il tutto con uno chardonnay di Mendoza. Che meraviglia!

29 novembre: Facciamo colazione con calma, il nostro ennesimo volo è previsto per 12.20. A proposito, non avendo molti giorni a disposizione abbiamo dovuto optare per spostamenti via aerea, ma potessi tornarci per un paio di mesi non perderei l’occasione di spostarmi in bus; lasciate perdere il noleggio auto, le distanze sono davvero enormi!

La nostra ultima tappa è El Calefate dove atterriamo dopo circa un’ora e venti di volo. Anche questo aeroporto (come a Trelew) è stato costruito in mezzo al nulla, in mezzo alla steppa più desolata, per accogliere i sempre più numerosi viaggiatori che si spingono fin qua per un unico motivo: i ghiacciai. La città si presenta ai nostri occhi all’improvviso, dopo una curva, eppure sembrava non esserci nulla ancora per molti km. El Calefate è piccolina, tranquilla e, soprattutto, benestante, si nota subito! Ricordo che a Buenos Aires una ragazzo mi aveva detto che sempre più giovani si spostano al sud per lavorare, in particolare a El Calefate, la Patagonia e la Tierra del Fuego sono ormai le aree più ricche del paese. La costruzione della città è recentissima, le strade sono ampie, alberate, le case basse con giardino privato, tutto è ben curato. Alloggeremo per due notti al Kosten Aike, un hotel interamente in legno e in stile, davvero grazioso. Gli addetti alla reception e alle camere indossano gilet tradizionali, ovunque quadri, tappeti, tende, divani, c’è persino una sala con il tavolo da biliardo.  Ci assegnano una camera di categoria superiore rispetto a quella prenotata – a volte conviene comunicare che siamo operatori turistici! – praticamente è una suite con disimpegno, salottino, una stanza da letto grandissima, antibagno e bagno con jacuzzi.

Lasciamo i bagagli e usciamo per andare a cercare qualcosa da mettere sotto i denti. La giornata è piacevole, ci sono 16° gradi e splende il sole. Ne approfittiamo per fare shopping e scoviamo alcune piccole boutique, una, in particolare, con delle splendide borse di una stilista argentina (se non ricordo male si chiama Maria Colombo), ad oggi modo non resisto alla tentazione! Facciamo scorta anche di marmellate, infusi, mate. Continuiamo a entrare e uscire da negozi, piccole boutique artigianali, tende, piccole gioiellerie che espongono la pietra locale (in realtà pietra nazionale dell’Argentina), la Rodocrosita o Rosa dell’Inca. Verso le 21.30 iniziano tutti a chiudere, così ci dirigiamo verso un ristorante a propostito del quale ho letto fantastiche recensioni: Casimiro Biguà, sulla via principale. È un posto arredato con gusto, moderno ma caldo e accogliente. Il personale è come sempre molto cortese e adoro la scelta di pane e grissini che ci portano al tavolo insieme con un paio di salse (al burro e al formaggio). Proviamo la trota grigliata con contorno di riso bianco e il lomo alla plancha con verdure al vapore; un bicchiere di Pinot Noir e un bianco Colomé Torrontes. È tutto perfetto e stupisce, come sempre, la freschezza dei prodotti. Rientriamo con calma in hotel godendoci questa piacevole serata.

30 novembre: Finalmente, oggi escursione al Perito Moreno. Percorriamo circa 80km tra steppa e colline osservando le Ande in lontananza. All’improvviso il bus si ferma, no, non è la fermata programmata, accosta solo per dirci di alzare lo sguardo alla nostra sinistra, eccolo lì, il Perito Moreno. Restiamo senza fiato. È ancora molto lontano, ma l’effetto è strepitoso, sembra che qualcuno lassù si sia divertito a spremere un tubetto di panna montata gigante tra le vette andine. Incredibile, è solo uno dei diversi ghiacciai della zona, non è neanche il più grande ma, di certo, il più noto. Il Perito Moreno è in continua crescita, avanza fino alla costa ostruendo il percorso dell’acqua del sottostante Lago Argentino. A periodi l’acqua riesce a riconquistare il proprio spazio, scavando lentamente un varco sotto al fronte ghiacciato che porta al crollo fragoroso della parte sovrastante, con colonne di ghiaccio che precipitano da 60 mt di altezza provocando un rumore spaventoso. Uno spettacolo a cui solo pochi fortunati riescono ad assistere.

El Calefate, il Perito Moreno

El Calefate, il Perito Moreno (foto V. Basile)

Con un catamarano ci avviciniamo fino a 200mt…è elettrizzante! Successivamente trascorriamo un paio d’ore presso l’unico punto ristoro della zona dotato di passerelle e camminamenti panoramici che ci consentono di osservare il fronte sud e il fronte nord. Come descrivere i colori, i suoni, l’aria che si respira in questo luogo? Non lo so, bisogna venirci di persona.

Durante la strada di ritorno nessuno dice una parola, immagino siano tutti concentrati a ripensare a ogni più piccolo dettaglio per fissarlo indelebilmente in quella parte del cervello destinata alla memoria a lungo termine (se non ricordo male si tratta dell’ippocampo).

Arrivati a El Calefate consumiamo la nostra ultima cena in una trattoria informale non lontano dall’hotel e ancora in stato di trance andiamo a dormire.

1-2 dicembre: Il nostro viaggio termina qui! Ci svegliamo con calma, sistemiamo i bagagli e ci dirigiamo in aeroporto. Il lungo rientro ha inizio, ci aspettano ca 18 ore di volo, scali esclusi!